Elisabetta Planca
Una pittura da usare per la ricerca di sé. Il disegno come la bacchetta di un rabdomante dello spirito; la tela come una porta sul proprio orizzonte interiore. Venere Chillemi dipinge anche perché la pittura fa parte, per lei, di un percorso di autoconoscenza intrapreso anni fa. E col tempo è cambiata, riflettendo i mutamenti interiori dell’autrice. Quando ha iniziato, era poco più che un hobby – anche se la tecnica c’era: appresa al liceo artistico. E la prima personale è arrivata subito a ventuno anni, nel ’71, alla galleria La Stanza Letteraria di Roma. Qui l’artista (che è nata nel 1950 a Messina ma l’anno dopo era già a Torino) esporrà molte volte. Allora la sua era una figurazione forte, vicina, per intensità, all’espressionismo tedesco. Poi arrivata l’età adulta, col suo carico di esperienze e anni difficili. Venere Chillemi ha iniziato a esplorare la dimensione spirituale del mondo. Ha portato con sé la pittura. Che se all’inizio “trasmetteva sofferenza”, dice l’artista, “adesso è cambiata, è sfociata in spiritualità”. Di lei hanno scritto critici come Aldo Spinardi e Albino Galvano, che vedevano la sua arte “musicale” e “simbolista”. Lei, se deve definire i suoi quadri, li dice “metafisici, onirici”. Sono il contraltare visivo delle poesie a soggetto mistico che scrive, e che ha esposto qualche volta con i quadri. Tutto “insieme è un cammino di conoscenza. Che si rispecchia, inevitabilmente, in quel che dipingo”. I temi forti dei primi anni hanno lasciato il posto a titoli pensati per suggerire percorsi di meditazione. La tecnica esalta queste atmosfere mistiche: Venere Chillemi usa l’olio in velature sovrapposte, cercando effetti di luminosità e trasparenza adatti a evocare atmosfere spirituali. Nel 1994 le sue opere hanno trovato un appropriato contesto a Roma, in una collettiva d’arte sacra. Il prossimo anno saranno a Rivoli, in una personale alla sala consiliare del Comune. Da cinque anni Venere Chillemi è pittrice a tempo pieno; da uno insegna la sua pittura mistica. In un certo senso, atre come terapia? “E’ un modo di ascoltarsi”, conferma lei, “E’ leggersi dentro”.