Paolo Levi
Venere Chillemi è una pittrice che viene dalla visionarietà simbolista. Per lei l’allegoria gioca un significato onirico e nel contempo religioso. Non per nulla i suoi lavori guardano alla verticalità. Come si può notare nei lavori L’inizio e la fine, Battesimo iniziatico, La fata di cristallo, Venere Chillemi appare tutta aperta “all’infinito”. “L’infinito” di un mondo tutto suo, che gioca soavemente, guardando all’irreale. Sono visioni, queste, dove il leggibile simboleggia, in verità, l’indistinguibile. Una verità, “altra” da quella quotidiana. Venere Chillemi con civiltà armoniosa porta luce, soprattutto, l’intrusione del mistero, sacre rappresentazioni che fanno appello all’evocazione, alla suggestione immaginifica. Il mondo pittorico-espressivo della pittrice non è accademico, ma gioca volutamente su una pittura poco mossa, per usare un termine musicale. Pur non rinunciando alla perizia pittorica, viene privilegiata l’allegoria evocativa. A differenza della composizione tradizionale, naturalista, l’artista, pur “adorando” il paesaggio, il dato naturalistico, la sua vegetazione, estrae dal conteso organico la vitalità per portare sul palcoscenico della vita l’alone del mistero, del non detto. Il reale in lei non è quello espresso, ma “altro”. La nostra percezione visiva si sposta dalla scala normale della capacità di decodificare, per approdare (solo con il nostro spirito) in un mondo infinitamente grande, un macrocosmo che non si può descrivere a parole. Il suo lavoro si richiama all’Art Nouveau. Si avverte la presenza, soprattutto, dello spettro solare, quasi come se la Chillemi ne afferrasse le vibrazioni invisibili.