Gian Giorgio Massara


La produzione di Venere Chillemi, reduce dal successo alla Quadriennale di Roma, è bilanciata fra surrealismo e simbolismo, con immagini femminili di luminoso stupore situate in un paesaggio che evoca certi boschi cari ai pittori francesi del primo Novecento; boschi con tronchi d’albero dai quali germogliano infiniti ramoscelli o vaghe infiorescenze. Sia Albino Galvano, sia Aldo Spinardi si sono occupati criticamente dell’arte di Venere Chillemi per sottolineare rispettivamente il felice equilibrio fra sicurezza disegnativa e sensibilità coloristica oppure un simbolismo di straordinaria limpidezza. In tale ambito si situano opere quali Paradiso astrale (1990) – tela giocata fra la rupe, uno specchio di mare sovrastato da nuvole e una candida figura dal volto negato – oppure tre fanciulle che intessono un passo di danza fra veli preziosi e atteggiamenti arcani. Ma la Chillemi affronta il tema del paesaggio anche in modo autonomo: Eden è l’immagine di un lago delimitato da alberi e cespugli che paiono anime, sul quale volteggiano i gabbiani, mentre l’opera Terra senza tempo confonde in sé un grande cielo regolarmente percorso da nuvole, il profilo dei monti, il rincorrersi delle colline e un primo piano tipico di questa pittrice che trasforma la natura in magia di luce. Sono sensazioni che ritroviamo in un altro dipinto nel quale dall’ellisse dei verdi nascono sia la cerchia dei monti irregolarmente innevati, sia le nuvole che si sfilacciano nel cielo; e paesaggi irreali cromaticamente intensi, ritroviamo sulle superfici geometriche dei dipinti destinati a divenire piano per raffinati tavolini. In taluni casi la Chillemi abbina – entro spazi dorati – cieli e vivide nature morte, che fuoriescono da cornici di barocca, vocazione traducendosi in immagini di una realtà dalla quale la pittrice evade per rifugiarsi in un mondo popolato di fantasmi e di sogni.